09/04/13

Recensione de Il figlio di Lois Lowry

Trama: Quarto volume della tetralogia che comprende ''The Giver - Il donatore'', ''La rivincita - Gathering blue'' e ''Il Messaggero - Messenger''. Questa è la storia di Claire, ma anche di Jonas, Matty, Kira e di molti altri personaggi dell'inquietante realtà distopica inventata dall'autrice. Siamo al Villaggio, Claire ha solo 14 anni e ha ricevuto il ruolo di ''Birthmother'': dopo l'inseminazione artificiale diventerà un ''contenitore'' e partorirà il suo ''prodotto''. Nessuno le ha spiegato quanto sarà doloroso, nessuno l'ha avvertita che dovrà portare una benda che le impedirà di vedere suo figlio. Ma il parto di Claire è tutt'altro che semplice: subisce il primo cesareo di tutta la comunità. Per un'imprudenza dell'infermiera viene a sapere che il figlio, il numero 36, sta bene. A causa delle complicazioni, però, Claire viene ''decertificata'', dichiarata non adatta a essere una Birthmother e assegnata alla piscicoltura. La ragazza, sconvolta da un'atroce sensazione di perdita, ha ormai un unico scopo: ritrovare suo figlio. L'arrivo al vivaio della nave dei rifornimenti, giunta da un luogo sconosciuto chiamato ''mare'' con la sua strana ciurma, potrebbe essere il suo mezzo di fuga, quando rapirà il bambino...

Il figlio è sicuramente il degno ultimo volume della serie ideata da Lois Lowry.
Forse sono un pò di parte ma capisco perfettamente Claire. Nel suo caso, vive ancora nella società che abitava Jonas (protagonista di the Giver) ed è designata come Partoriente, onore e vergogna nella sua società. Onore perchè farà andare avanti la specie e vergogna perchè sono gli individui meno brillanti ad ambire a tale posto.
A mio avviso è completamente agghiacciante ma è il parere di vista di un'estranea alla società. Claire viene preparata in maniera inadeguata al suo ruolo e al momento del parto non solo non sa che soffrirà estremamente, ma nemmeno le viene spiegato nulla quando iniziano ad insorgere delle difficoltà che la classificheranno come difettosa. Ancora peggio che ogni Partoriente debba portare una maschera sul viso per evitare di vedere i bambini e, anche se non è spiegato, provarvi affetto al solo primo sguardo.
Ma come può accorgersi una società drogata e dagli occhi chiusi della crudeltà di un sistema così sintetico e privo di calore? Sentire umanità?
Ogni abitante da che entra nela pubertà prende delle pastiglie particolari che tengono a bada istinti, sentimenti. E Claire capirà che tutti sono assuefatti quando lei, cacciata dal nucleo delle Partorienti e mandata a lavorare al Vivaio Ittico, è capace di vedere, sentire attraverso il legame che ha col figlio, il numero 36. E tutto perchè non prende più pillole. Pare che, dopo il suo fallimento, tutti si siano dimenticati di lei.
Questo bambino è altrettanto sfortunato: affetto da un ritardo di crescita viene portato a casa tutte le sere da un addetto del reparto dell'infanzia che vuole aiutarlo a mettersi in pari con gli altri "neobimbi". E Claire, sempre più nostalgica verso suo figlio, riesce a rintracciarlo e incontra sempre  casualmente l'uomo durante il tragitto verso casa in modo da instaurare una sorta di amicizia e un legame col piccolo.
Peccato che all'improvviso Jonas scappi portando con se Gabriel (questo il nome del bimbo). Claire a sua volta impazzisce, fugge su un'imbarcazione e finisce, priva di memoria su un'isola sperduta dove grazie alla saggia Alys riuscirà a crescere ed imparare, sino a ricordare e trovare dentro di se la determinazione a cercare suo figlio.

La distopia creata da Lois Lowry è semplice eppure ben delineata. Dove che capitiamo non fatichiamo ad ambientarci e capire.
Ho provato empatia per Claire quando soffriva e soprattutto quando stava reimparando tutto da capo nel villaggio dove è naufragata. Tutto per lei era nuovo: colori, luci, musica, animali, amicizia. Lei è il risultato di una società dove possiamo essere alfabetizzati ma dobbiamo far parte di un gregge, non pensare, non sollevare domande, non sentire, seguire la massa e le norme preimposte. Mentre dove Claire finisce si può vivere ed essere, è sufficiente solo aver rispetto degli altri, chiedere scusa, provare, sbagliare, cadere e rialzarsi. Si vive.
Però il trauma le impedisce di ricordare e tutte le sue fobie per cose normalmente comuni, non la aiutano a partire col piede giusto.
Sarà grazie ad Einar, lo zoppo del villaggio, che la ragazza troverà dentro di se risposte importanti e la tenacia per affrontare la ricerca per trovare suo figlio. Grazie a lui che perì nell'impresa di scalare la scogliera che porta fuori dal villaggio e rimanendo zoppo e sfigurato, ma forte e ardito.

Chiaramente il libro non proseguirà con scioltezza verso un chiaro e felice finale. Dovremmo pur
soffrire un pò. Tornerà in scena il Direttore del Baratto, il Male personificato che cercò già una volta di piegare il Villaggio al suo volere. Un Villaggio nato come crocevia e nido per i diversi, coloro rifiutati per i loro difetti fisici o che fuggivano da una guerra. Insomma un luogo dove ricominciare visto che tutti, almeno una volta nella vita, siamo stranieri. E che il Direttore cercò di distruggere. Come in un eterno ciclio di bene e male che coesiste da sempre.

Con questo volume troviamo amore e sacrificio, domande e risposte. Tutto ciò che una madre è disposta a fare per un figlio che ha magari visto poche volte ma per cui nessuna privazione è troppo grande. Troviamo anche la normalità, ovvero una società dove bisogna seguire la massa, e l'utopia come il Villaggio dove tutto può funzionare cooperando e non mettendo mai se stessi al primo posto.
 
Un piccolo capolavoro che si aggiunge agli altri volumi della serie e che con poche pagine ci inducono in grandi riflessioni.

Clicca qui per la recensione di The Giver
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4 commenti:

  1. anch'io penso esattamente come te...mi è piaciuto molto

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  2. posseggo il primo libro della tetralogia, ma ancora non mi decido a leggerlo. Credo sia giunto il momento... :)

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    1. Vale davvero la pena e non occupa molto tempo! Se ti piacerà sarai triste di finirla presto. Altrimenti avrai perso poco tempo!!!

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