12/02/17

Recensione de Il gioco dell'angelo di Carlos Ruiz Zafòn

Trama: Nella tumultuosa Barcellona degli anni Venti, il giovane David Martín cova un sogno, inconfessabile quanto universale: diventare uno scrittore. Quando la sorte inaspettatamente gli offre l'occasione di pubblicare un suo racconto, il successo comincia infine ad arridergli. È proprio da quel momento tuttavia che la sua vita inizierà a porgli interrogativi ai quali non ha immediata risposta, esponendolo come mai prima di allora a imprevedibili azzardi e travolgenti passioni, crimini efferati e sentimenti assoluti, lungo le strade di una Barcellona ora familiare, più spesso sconosciuta e inquietante. Quando David si deciderà infine ad accettare la proposta di un misterioso editore - scrivere un'opera immane e rivoluzionaria, destinata a cambiare le sorti dell'umanità -, non si renderà conto che, al compimento di una simile impresa, ad attenderlo non ci saranno soltanto onore e gloria...

Proseguo a leggere le avventure ideate da Zafòn. Ho preso il libro a scatola chiusa e devo dire che mi ha riservato molte sorprese.
Quando lo si inizia assolutamente non lo si deve considerare un successore de "L'ombra del vento". Innanzitutto è un prequel e troviamo assonanze e dissonanze col primo libro, motivo per cui i confronti sono inutili.
Protagonista è David Martìn, aspirante scrittore che lavora presso il giornale La Voz de la Industrìa. In realtà è più uno scribacchino che altro, che ha iniziato a lavorare li per tragiche circostanze. Il suo stimato e ricco collega Pedro Vidal, pupillo del giornale e figlio del maggiore sostenitore del quotidiano, intercede per lui presso don Basilio, rigido vicedirettore del giornale. Don Pedro infatti ha intessuto le lodi narrative del ragazzo che ora ha la sua occasione e può spiccare il volo. E qui Martìn ci dice che è il momento in cui perse la sua anima in cambio di vedere pubblicato il suo nome su un racconto.  Siamo nel 1917. Questo gli varrà presto il malanimo dei colleghi, don Basilio a malincuore lo licenzia e Martìn si trova a dover accettare l'offerta di Barrido ed Escobillas, editori di bassa risma che sfruttano al midollo il nostro protagonista che scriverà per loro una serie, La città dei maledetti, sotto lo pseudonimo Ignatius B. Samson. 
Sarà in questo momento che ritorna in scena Andreas Corelli, editore parigino, sconosciuto (ma inconfondibile: vestito perfettamente e sempre con la spilla dell'angelo appuntata sui vestiti) che aveva notato Martìn già presso il suo primo impiego e che vuole assumerlo per un lavoro su commissione. Peccato che dispiaceri personali e la fatica lavorativa lo facciano ammalare senza possibilità di appello e che ogni scelta gli sia preclusa.
Ovviamente Zafòn non fa terminare così il libro ma ci farà tribolare con mille altri avvenimenti.
Ad esempio lo struggimento per la bella quanto ipocrita Cristina, figlia dell'autista di Vidal che a me è sempre sembrata un'approfittatrice. Conosceremo anche Isabella, figlia di commercianti in prodotti esotici, che, ribelle di natura, scappa di casa per rifugiarsi da Martìn ed imparare a scrivere, lei che ama riempire pagine su pagine. La signorina ha un gran caratterino (sono comiche le scene tra lei e Martìn) e la "colpa" delle presentazioni è tutta da addossare al signor Sempere, il libraio che ha stima di Martìn, messo a parte del gran segreto del Cimitero dei Libri Dimenticati.
Quello che ho amato di questo libro è il modo di scrivere. Zafòn scrive per farci cullare dalle sue parole che oltre ad ammaliare non fanno annoiare. Almeno a me.
Sono conscia che questo libro sia assai meno dinamico del precedente e che l'autore si è riferito allo stesso modello: scrittore maledetto, mistero da svelare, amori tragici.
A me però è piaciuto leggere di Martìn che mi ha conquistata. Mi ricorda un pò me. Burbero, ma assolutamente non cattivo. Sarcastico, scostante. Insomma uno da cui stare alla larga!
Avrei voluto che Corelli comparisse di più. E' un personaggio inquietante, ma compare a saltelli. Amo la proposta fatta a Martìn di scrivere "una religione". Certo, ne parla troppo, è davvero cinico, ma condivido il suo cinismo sul divino e che la religione abbia basi razziste (basti pensare alle guerre religiose) nonchè la sua convinzione che si impari dalle storie. Non ci cambieranno la vita, ma insegnano e spesso vengono copiate, come la Bibbia insegna.
Questo lavoro però è più fantasy e mistery. Infatti a fine storia avremo capito tutto, ma saremo sicuramente insicuri sull'interpretazione degli eventi.
Sono certa che sentirò ancora parlare di alcuni dei personaggi di questo libro di cui è facile presumere un'interruzione (affatto scontata) delle vicende.

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