18/02/17

Recensione di Il Prigioniero del Cielo di Carlos Ruìz Zafòn

Trama: Barcellona, dicembre 1957. Nella libreria dei Sempere entra un individuo misterioso che acquista una preziosa edizione del Conte di Montecristo e la lascia in custodia a Daniel perché la consegni al suo amico Fermin. Il libro porta una dedica inquietante: "Per Fermin Romero de Torres, che è riemerso tra i morti e ha la chiave del futuro", firmato "13". Tra malintesi, imbrogli e minacciosi ricordi dal passato inizia l'indagine di Daniel per decifrare quella dedica enigmatica e capire quali segreti nasconde il suo fedele amico. Prima di potersene rendere conto, il giovane libraio viene catapultato in un passato che lo riguarda da vicino, dove la morte di sua madre Isabella si lega al destino di David Martin, il grande scrittore che dal carcere scrive Il gioco dell'angelo, e a quello del perfido editore Mauricio Valls, una vecchia conoscenza degli anni di carcere di Fermin. Quello che Daniel scoprirà non rimarrà senza effetti sulla sua vita, molte domande rimaste in sospeso avranno una risposta e lui si troverà in mano, inaspettatamente, la possibilità di vendicarsi.

Il prigioniero del cielo è il terzo capitolo della saga anche se in maniera non ufficiale. Infatti, secondo indicazioni dello stesso Zafòn possiamo leggere nell'ordine che si preferisce.
Io a fine lettura invece sono contenta di aver seguito "l'ordine originale", se non altro per come termina il libro e per come getta le basi del prossimo.
Questo volume ci fa tornare alla Barcellona dove abbiamo conosciuto Bea e Daniel con Juliàn Carax. Bea e Daniel sono sposati, hanno un bambino di pochi mesi e stanno aiutando Fermìn e la promessa sposa, Bernarda, coi preparativi del matrimonio. Fermìn sembra però tormentato e le cose non migliorano quando Daniel racconta di aver ricevuto una visita da parte di un claudicante uomo misterioso che ha pagato una generosa cifra per un'edizione di pregio de "Il conte di Montecristo" di Dumas con tanto di dedica a Fermìn. Quest'ultimo impallidisce e, su pressione di Daniel, inizia a raccontare la verità su di sè e sul suo passato di prigioneri presso il castello del Montjuic, sui suoi conflitti col regime, nonchè le sue vere preoccupazioni matrimoniali poichè agli atti risulta "morto".
La trama ci dice più del dovuto, ma è vero. Nel passato di Fermìn Daniel troverà molte risposte e collegamenti con la sua vita. Scoprirà che forse la morte di sua madre non è stata casuale così come nemmeno altre conoscenze e fatti della sua vita.
Sinceramente questo libro mi è piaciuto meno. Sempre il libro godibile di Zafòn, comunque, con un modo di scrivere che fa venire voglia di godersi il libro.
Qui ho trovato poco mistero, poco sovrannaturale rispetto al solito, manca l'elemento maledetto che avevo trovato nei primi due volumi. Son contenta di aver scoperto gran parte della storia di Fermìn, benchè non ne sentissi una necessità. Ho apprezzato di più la scoperta di un ponte tra passato e presente più fitto di quel che credevo. Mi sono goduta le comparsate dello scrittore David Martìn, relegato però sullo sfondo. Ma c'è così poca azione... La scena più forte e bella è stata quella della fuga di Fermìn dalla prigione, però a parte questo va tutto in discesa. Non so spiegarmi bene, anche i cattivi sono truci ma viscidi, meno incisivi. Insomma un bel libro, purtroppo sottotono rispetto a quello cui mi ero abituata. Mi è sembrato anche tutto affrettato. Sì, si capisce che i fatti non accadono in due giorni. Ho però avuto la percezione che rispetto ai due volumi anteriori si corresse un pò. Siamo nel 1957, poi di botto nel 1939 con le sue rivelazioni, poi di nuovo nel presente. Insomma... Rapido.
La mole dell'ultimo volume mi fa sperare invece in un ritorno ai vecchi tempi, pieno di intrighi e confusione per poi risolvere tutti i punti interrogativi sollevati.

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